Il glorioso bikeparty per Italia in bicicletta


Marco Ardemagni



Le guide di Lonely Planet che ho utilizzato di più - posso tranquillamente dire “consumato” - sono state forse Londra, Francia Meridionale, Istanbul e in particolare Cina, che mi ha accompagnato nel mio percorso durante le Olimpiadi di Pechino.

Forse nel 2008 era già disponibile Pechino, che sarebbe stata molto più appropriata e anche meno voluminosa da mettere in valigia, ma io mi ero portato Cina, e tutto sommato non me ne sono mai pentito, ingombro a parte. Ma non è di queste cinque che voglio parlare, bensì di un'altra guida che ho consultato molto più raramente, visto il mio controverso rapporto con le due ruote, ma che mi è ancora più cara, perché posso orgogliosamente dire di avere contribuito, lacrime e sangue, al suo lancio. Mi riferisco a Italia in bicicletta. Per l'occasione, si era forse nel 2010, gli amici della EDT avevano deciso di promuovere il libro attraverso una partnership con il nostro Caterpillar in onda su Rai Radio2, dal lunedì al venerdì, nel pomeriggio, fin dal 1997. Una bella delegazione della casa editrice avrebbe raggiunto in bicicletta Senigallia, il luogo in cui tutti gli anni organizziamo il CaterRaduno per chiudere la stagione, partendo da Torino. Lungo la strada per una settimana avrebbero effettuato dei collegamenti telefonici con il nostro programma. Un po' per amicizia, un po' per spavalderia decisi di raccogliere la sfida lanciata da Angelo, il direttore commerciale e marketing della casa editrice: mi sarei unito al gruppo di Lonely Planet in una delle sette tappe.

Il destino volle che la mia scelta cadesse su una tappa dal tracciato particolarmente mosso: da Ovada a Novi Ligure, con arrivo al museo del ciclismo. A detta di tutti la tappa più dura, ma questo lo scoprii solo a cose fatte. Il gruppo era formato da una dozzina di ciclisti assatanati che sottostavano alle indicazioni di un simpaticissimo professore universitario americano over 60, trasformatosi in operatore turistico e di Carlo, un informatico della EDT, triatleta a tempo perso, che aveva predisposto il tracciato, formalmente di 58 chilometri. Per tutto il tragitto fu lui a spronarmi con la necessaria e cortese determinatezza. Dopo un chilometro l'avevo già soprannominato “superuomo nietzschiano”. Dopo circa tre un primo insignificante strappetto provocò la mia prima crisi, dalla quale riemersi grazie a una bustina di magnesio liquido. Seguì un'altra ventina di chilometri di saliscendi abbordabili durante i quali pensai di essere diventato un ciclista. Ma attorno al venticinquesimo chilometro si parò davanti a noi una salita al 10%. Ai primi metri la vista mi si annebbiò. Ricordo solo la terribile umiliazione infertami dall'agile Carla, ex promessa giovanile dell'atletica (“ma questi dell'EDT sono tutti così atletici?” imprecavo) che faceva la spola avanti e indietro senza alcun problema sulla stessa salita che mi stava facendo impazzire per vedere in quali condizioni io versassi, zigzagando sulle balze.

E come stavo? Posso dirlo ora, non sono mai stato così vicino all'augurarmi la morte istantanea. Non so come, ma riuscii alla fine a raggiungere Novi Ligure assieme al gruppo giusto in tempo per il collegamento con Caterpillar. Da quell'esperienza ricavai anche la consapevolezza che percorrere 20 chilometri in bici è meno faticoso che percorrerne uno solo in salita. Anni dopo, a un evento Lonely Planet a Milano li incontrai nuovamente tutti. Carla e Carlo, che nel frattempo si erano fidanzati, ripercorsero con me le emozioni di quella giornata. Io confessai loro i miei turpi pensieri di quei momenti. Solo allora Carlo, il superuomo nietzschiano di Ovada, mi rivelò un segreto: la lunghezza di quella tappa che sulla carta era di soli 58 chilometri, di fatto sfiorava i 100, ma se io l'avessi saputo fin dall'inizio non l'avrei mai conclusa. E come dargli torto.



Marco Ardemagni è un conduttore di Radio2 Caterpillar AM, autore televisivo e poeta.

Italia in bicicletta (edizione fuori commercio)
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