La scommessa del Giornale della musica


Giordano Montecchi



La collezione – completa – sta nella soffitta di casa mia. Un filo di emozione mentre scosto le ragnatele e apro il primo degli scatoloni sul cui fondo trovo il n. 1, dicembre 1985, ingiallito ma integro.

In alto, al centro, un eloquente colophon neobarocco: un liuto e un violino che, quasi come una sacra famiglia, vegliano una stampa musicale in formato oblungo, sulle cui pagine aperte si legge un distico da un’Ode di Orazio: «non ante vulgata per artes / verba loquor socianda chordis». Quindi, a sei colonne: «Il Giornale della Musica». E sotto, col titolo Un quotidiano al mese, un breve editoriale di benvenuto. In formato tabloid (30x42 cm), sulla prima pagina stanno la Scala, Celibidache, la Fracci. Ma è il taglio basso che rivela l’identità e il destino del nuovo arrivato. A sinistra, il ministro Lagorio illustra la ripartizione dei 716 miliardi di lire del Fondo unico per lo spettacolo. È il 1985: dunque il primo Fus! A destra, si annuncia invece l’arrivo della riforma dei Conservatori con l’approvazione di un disegno di legge del ministro Franca Falcucci. La novità, l’originalità, la scommessa del «Giornale della Musica» stavano proprio in questa attenzione rivolta alle politiche della cultura e della musica, anziché al solito star system: “quotidiano”, dunque, non rivista patinata. Seguirono decenni appassionanti tra informazioni, inchieste, polemiche, mutamenti d’orizzonte. Ma sempre con in testa l’idea – sacrosanta – che il mondo della musica, cioè i musicisti in primis, coltivassero la consapevolezza del loro ruolo sociale e che un mensile così impostato fosse benemerito. Trent’anni dopo, cioè oggi, quei 716 miliardi varrebbero quasi 900 milioni di euro, quando il Fus ne rastrella poco più di 400. Quanto alla riforma, fece altri 14 anni di anticamera e ancora non è in porto. Il Fellini di Prova d’orchestra fu miglior profeta. Per questo «Il Giornale della Musica» ha dovuto cedere le armi con onore.



Storico della musica (è autore, fra l’altro, di Una storia della musica per Rizzoli) e critico musicale – per oltre venticinque anni ha scritto su «l’Unità» – Giordano Montecchi è uno dei pochi musicologi in Italia a essersi interessato alla musica contemporanea nella sua globalità, dalla musica accademica e sperimentale, al jazz, al rock alle musiche di tradizione orale. Di recente pubblicazione è un saggio analitico dedicato alla musica di Frank Zappa, intitolato Rock come prassi compositiva, edito da Arcana. Insegna Storia della musica e Musicologia al Conservatorio di Parma.

Il Giornale della Musica (oggi solo online)
MUSICA